Gazzetta di Mantova 26 maggio 2015

Il_giudice_stanga_Gazzetta_26-05-2015
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Assalto in Villa, 14 anni ai due banditi II verdetto per gli autori del pestaggio dell’ex gestore del bar Adriano e dei familiari. Ancora senza nome i due complici «Sì, è vero, quella notte eravamo a Levata. Non per assaltare quella casa, ma per rubare del rame. Questo facciamo: furti di metallo, non rapine nelle case». Invischiati, loro malgrado, nella vicenda giudiziaria di un feroce raid in villa? La versione resa in aula a suo tempo dai due imputati non ha incrinato l’impianto del rappresentante dell’accusa, né è stata creduta dal collegio dei giudici. Nessuno è stato sfiorato dal dubbio che i colpevoli del violento assalto messo a segno nel febbraio dello scorso anno nella villa di via Canneti, a Levata, possano non essere Ionut Marin, 24 anni, romeno residente a Cittadella e Neculai Paduraru, di 38, anche lui romeno, abitante a Roncoferraro. Sono loro gli aggressori di Franco Adriano Signorelli, 69 anni, ex titolare del bar Adriano di via Chiassi, in città, la moglie Vanna Golfrè Andreasi, 68 anni e la madre 89enne di lei, Elsa. La sentenza di primo grado li inchioda alle loro responsabilità, dando piena soddisfazione alle prove raccolte dai carabinieri del nucleo investigativo di Mantova: 14 anni e sette mesi di carcere a testa. Un verdetto che supera, con quei sette mesi, la stessa richiesta del pubblico ministero Paola Reggiani. Prevista anche una provvisionale di cinquemila euro a titolo di anticipo sul risarcimento per il comitato di quartiere che si è costituito parte civile. Meno di due ore di camera di consiglio per raggiungere il pronunciamento dei giudici. Nulla ha tolto o aggiunto l’audizione di una testimone: la donna, compagna del teste che in un bar aveva udito i due imputati raccontare i dettagli della rapina, si è – comprensibilmente tirata fuori. dall’impiccio con una serie di non ricordo. Ma nulla sarebbe cambiato, anche se avesse ricordato. Scontata, alla lettura del verdetto, la reazione delusa dei difensori che ora si preparano a leggere le motivazioni della sentenza e a imbracciare l’arma del processo d’appello. Reazione soddisfatta, invece, quella del comitato di quartiere. «Abbiamo realizzato – spiega una nota – lo scopo duplice che ci eravamo prefissi con la costituzione di parte civile: dare sostegno alle vittime, troppo spesso lasciate a fronteggiare la loro tragedia in solitudine, e contribuire fattivamente, grazie al nostro avvocato Maddalena Grassi, alla condanna dei colpevoli». L’ora di terrore vissuta dalla famiglia Signorelli il 7 febbraio dell’anno scorso, era iniziata alle tre e mezza del mattino del mattino quando quattro banditi, due dei quali non ancora identificati, erano entrati forzando una finestra sul retro. La loro furia si era abbattuta su tutti i tre componenti della famiglia. In particolare su Adriano, pestato a sprangate e minacciato del taglio delle dita se non avesse dato la combinazione della cassaforte. «Ma nessuno può cancellare quell’incubo» La moglie:,«La nostra casa è diventata una prigione, speriamo solo di tornare alla serenità di prima» I calci, ipugni, le sprangate e le secchiate d‘ acqua in faccia per farlo rinvenire. Poi la minaccia di tagliargli le dita delle mani se non avesse rivelato la combinazione della cassaforte. Il trattamento più duro era stato riservato a Franco Adriano Signorelli, 69 anni, che per aver resistito alle percosse e al ricatto dei banditi era finito in corna all’ospedale con traumi alla testa e una frattura vertebrale. La furia dei banditi non aveva risparmiato la moglie e la suoCera 89enne, anche loro finite in ospedale dopo essere state pestare e tenute in ostaggio per un’ora. «Nessuno cancellerà quella notte da incubo spiega la moglie di Signorelli, Vanna Golfrè Andreasi, 68 anni – stiamo ancora vivendo quei momenti terribili. Stamattina abbiamo saputo della sentenza da un rappresentante del comitato di quartiere che, presente al processo, è corso a informarci. Ora speriamo solo di poter recuperare la serenità di prima, di riprendere una vita normale». Ai tre componenti della famiglia l’assalto subito il 7 febbraio dello scorso anno ha lasciato tracce indelebili. «Stiamo ancora Vivendo problemi di salute fisica legati all’aggressione – dice la signora Vanna con tono posato, appena incrinato dall’emozione del ricordo – quello che è brutto è pensare che al mondo esistano persone co sì cattive. Da quella notte, quando qualcuno suona alla porta, non apriamo a meno che non sia una persona conosciuta. Le botte e la rapina ci hanno cambiato la vita. Perfino la casa non è più quella, è come una prigione, tra allarmi, catenacci e mandate alle porte». Qualcosa di buono, che apre uno spiraglio su un futuro migliore, la famiglia l’ha già trovato. «Abbiamo avuto tantissime dimostrazioni di amicizia dalla gente del paese e dal comitato di quartiere – si lascia andare la signora Vanna ma non le abbiamo avute dal Comune e dalle istituzioni».

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